sabato 1 gennaio 2011

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EGITTO: Sharm EL Sheik

GIORDANIA: Petra e Wadi Rum

SPAGNA: Pamplona; Fiesta di San Firmino (corsa dei tori)

MESSICO: Akumal, Tulum e Chiceniza

EGITTO: crociera sul Nilo
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domenica 10 ottobre 2010

EGITTO: Sharm El Sheik


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Aprile 2004. Siamo appena entrati in primavera, ma l’inverno non ci ha abbandonato del tutto, così decidiamo di concederci una piccola vacanza cercando il sole ed il caldo.
Niente di particolare: una settimana a Sharm.
Hotel molto bello, pochi km. a nord di Naama Bay; si esce e siamo direttamente sulla spiaggia che è molto grande, con un corner di villaggio tutto italiano.
La barriera corallina è a meno di cento metri e si raggiunge con un comodo pontile. Mare stupendo, acqua limpida, anche se un poco freschina e migliaia di pesci di tutti i colori e di tutte le dimensioni che ci hanno avvolto già dal primo tuffo.
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La vacanza è una classica “arrostirsi, fare snorkelling, animazione, mangiare e qualche escursione”. Ed è proprio di queste che voglio raccontare.

Ne abbiamo fatte tre: la classica motorata nel deserto; l’ascensione del monte Sinai, bella ed impegnativa; la visita ed snorkelling nel parco nazionale di Ras Mohamed.

Dopo tre giorni di dolce far niente (per modo di dire), ci decidiamo a prenotare motorata e monte Sinai. Purtroppo per necessità dobbiamo farle stesso giorno, così si preannuncia una giornata molto dura: ore 17:00 inizio motorata; ore 20:00 – 20:30 rientro; ore 23:00 partenza pulman per il monte Sinai.

Iniziamo a prendere confidenza con i quad, né io, né Gino e neppure Mau li abbiamo mai guidati. Comunque dopo poche spiegazioni e qualche centinaio di metri percorsi lentamente, si rivelano manovrabilissimi.

Ci copriamo per bene la testa e il viso, per non mangiare troppa polvere e via… Anche i passeggeri, Tami, Maria e la ragazza di Mau si divertono da matti. Facciamo una prima sosta a The EcoTemple, una specie di bazar dove si vendono i soliti ninnoli. Poi si riparte ed intanto scende il buio, quasi di colpo, come succede nel deserto, e diventa tutto ancora più affascinante, con le ombre delle montagne ai lati e la pista illuminata dai fasci di luce dei fari.

Nuova sosta per il tradizionale tè nel deserto sotto la tenda beduina (sic!), al lume di candele poste dentro bottiglie di plastica tagliate, alcune delle quali fungono anche da contenitori dello zucchero, tanto che è meglio prenderlo amaro il tè, ma sono solo dettagli.

Rientriamo molto soddisfatti. E’ un’escursione che ci sentiamo di consigliare a chi si reca in una località di mare in Egitto. Può sembrare un classico “acchiappaturisti”, ma invece, oltre che ad essere divertente, permette di vedere luoghi dell’interno molto belli.


Rientriamo in hotel quasi alle 21:00. Facciamo appena in tempo a cenare, fare una doccia e cambiarci che già saliamo sul pulman.
Arriviamo ai piedi del monte Sinai dopo l’una e iniziamo a salire. Dovremo andare su tutta la notte, per circa 8 km., su di una mulattiera, anzi cammelliera, tornante dopo tornante.
Tami dopo poche centinaia di metri decide di salire su di un dromedario e per chi non è allenato, è la soluzione migliore, per pochi euro.
Mau e Lisa non sono voluti venire, hanno preferito andare l’indomani all’isola di Tiran per cercare di vedere i delfini.
Io, Gino e Maria ce la facciamo tutta piedi. Il buio è intenso, ma lo spettacolo che ci offre la teoria di gente che sale (saranno diverse migliaia), ognuno con una torcia elettrica in mano, è fantastico. Sembra un infinito serpentone luminescente, visto dall’alto.
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Arriviamo sulla vetta pochi minuti dopo le sei, appena in tempo per vedere l’alba e il sole che sorge. Ci è costato fatica, ma siamo ripagati dallo spettacolo e dall’atmosfera che si respira.

Iniziamo a scendere e con il sole che picchia a me sembra che la strada sia più lunga che a salire. Comunque arriviamo al Monastero di Santa Caterina e ne facciamo visita.
Peccato ci sia troppa gente e che non ci si possa godere il fascino particolare che suscita questo luogo perso nel deserto fra le montagne.

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È stata una nottata faticosa, anche se di un’esperienza unica, così per tutto il non facciamo altro che pisolare sotto il sole, o all’ombra quando picchia troppo e solo nel tardo pomeriggio vado a vedere un po’ di pesci sulla barriera.
Mau e Lisa sono tornati, ma non hanno avuto fortuna, il mare era agitato e niente delfini, così anche loro si immergono facendomi compagnia.

Andiamo avanti nella vacanza, una sera ci rechiamo a Naama Bay; prendiamo un taxi e spendiamo veramente poco, in sei ce la caviamo con 5 euro, non solo, ma prendiamo appuntamento e ci viene anche a riprendere all’ora stabilita, puntualissimo e gentilissimo. Pensate che ha voluto essere pagato solo al ritorno. Se vi dovete spostare, il taxi è molto conveniente. Altre sere restiamo al villaggio dove c'è sempre uno spettacolo e un piccolo bazar.
Durante il giorno ci lasciamo coinvolgere dagli animatori, soprattutto Tami si diverte da pazzi a fare scuola di ballo.

L’ultimo giorno utile facciamo l’escursione a Ras Mohamed. Ci fermiamo per strada e noleggiamo una muta da sub, per poter stare di più in acqua. Consigliamo a chi la possiede di portarsela, perché l’acqua, almeno ad aprile, non è molto calda. Il parco è notevole, con la sabbia del deserto che finisce nel mare trasparente e con la barriera corallina a meno di 10 metri dalla riva.
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Ci sono tantissimi pesci ed è un tripudio di colori e di vita. Restiamo in acqua tantissimo e solo quando l’accompagnatore ci richiama usciamo.

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La mattina seguente, abbiamo ancora il tempo di prendere un po’ di sole e farci un bagno, poi non ci resta che rientrare in Italia.



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Note: Sharm e dintorni; rapporto qualità prezzo = ottimo. Sembra di essere ai tropici, ma sono solo due ore di volo. Barriera corallina stupenda. Mau è stato alle Maldive, ma ha detto che a Sharm è migliore. Consigliato a tutti, anche a chi non sa nuotare, si può fare snorkelling con un giubbetto salvagente vicino alla barriera corallina e si vedono milizia di pesci egualmente.

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FINE


mercoledì 4 agosto 2010

GIORDANIA: Petra e Wadi Rum


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NOTA DELL’ AUTORE
Il seguente viaggio è stato fatto nel 2003. La Giordania, nonostante la guerra in Iraq, era abbastanza sicura. Non vi erano notizie di attentati o situazioni critiche. Al momento in cui lo scrivo, novembre 2005, purtroppo la situazione è precipitata (fra l’altro occorrerebbe fare una riflessione sull’utilità della guerra). Sono di pochi giorni fa gli attentati ai tre alberghi di Amman, tra cui il Radisson dove alloggiammo, costati la vita a 57 persone. Senza dubbio un colpo terribile per un Paese che già trovava difficoltà ad una penetrazione turistica non di nicchia. Ci auguriamo che al più presto la Giordania possa tornare ad offrire le sue bellezze e i suoi tesori al mondo intero.
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Programma:
1° giorno: Roma – Amman con volo di linea Air Jordanian. Sistemazione in albergo.

2° giorno: Amman – Castelli nel deserto. Intera giornata, 100 km. circa. Qsar al
Kharanha, antico caravanserraglio fortificato; Qsar Amra, con insoliti affreschi sulla religione; Qsar Al-Azraq, antica fortezza e quartier generale di Lawrence D’Arabia. Rientro ad Amman.

3° giorno: Amman – Jerash – Ajlun – Gadara. 50 km. circa . Jerash, antica città romana, detta la Pompei d’oriente. Ajlun, visita del castello del Saladino risalente al 1.184. Gadara, vista panoramica della valle del Giordano. Rientro ad Amman.

4° giorno: Amman – Madaba – Monte Nebo – Kerak – Petra. 250 km. Madaba, città dei mosaici. Monte Nebo, tomba di Mosè (?), chiesa bizantina con importanti mosaici. Kerak, castello dei crociati. Petra, sistemazione in hotel.
5° giorno: Petra, intera giornata dedicata alla visita. Rientro in hotel.
6° giorno: Petra – Beida – Wadi Rum. 80 km. Beida, detta Piccola Petra, antico caravanserraglio rupestre. Wadi Rum, il deserto di Lawrence d’Arabia. Rientro a Petra.

7° giorno: Petra – Mar Morto – Amman. 320 km. Mar Morto, la depressione più bassa e il lago più salato del mondo.

8° giorno: rientro in Italia.

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Premessa:
ho deciso di riportare in apertura il programma del viaggio perché il racconto sarà incentrato soprattutto su i due luoghi del viaggio che non dimenticheremo mai, portandoli sempre con noi nell’album fotografico delle nostre menti, con i colori e i contrasti che nessuna foto, digitale, o tradizionale, potrà mai eguagliare, soprattutto l’azzurro intenso del cielo di Petra e del Wadi Rum.

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Il viaggio:

… è il primo viaggio dove anche Mau viene con noi. Probabilmente anche lui è affascinato dalle leggende che circondano Petra e dalla bellezza delle foto del deserto di Lorence d’Arabia: il Wadi Rhum. Così, visto che viene Mau, si aggrega anche Claudio, il figlio dei nostri amici Gino e Maria.
La partenza è da Roma e decidiamo di andarci con il furgone che Gino usa per seguire le corse ciclistiche della sua squadra, con tanto di portabici e loghi degli sponsor su tutta la carrozzeria. Comunque è una scelta giusta, perché ci stiamo comodi in cinque ed i bagagli.
Lasciamo la macchina ad un parcheggio che ci era stato consigliato e la navetta ci porta all’aereoporto. Solite formalità, abbastanza spedite e ci imbarchiamo.
Atterriamo ad Amman in perfetto orario ed ad attenderci troviamo la guida e l’autista che ci accompagneranno. Oltre a noi cinque, ci sono altre due coppie di Roma, una coppia di giovani in viaggio di nozze e due ragazze. Veniamo accompagnati ad i rispettivi hotel e prendiamo appuntamento con la guida che parla perfettamente italiano, per l’indomani mattina.
Noi siamo alloggiati al Radisson ed i ragazzi, abituati a viaggiare più spartanamente, sono entusiasti della camera che è quasi una suite, con tanto di anticamera, divano e scrivania d’epoca. Ci cambiamo e scendiamo per la cena; l’ambiente è veramente carino e nella hall spicca un tabellone con su tutta una serie di targhette d’ottone lucido che riportano i nomi di illustri frequentatori, fra cui numerosi politici italiani, che vi hanno alloggiato in visite istituzionali.
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Le visite:

siamo, diciamo, non delusi, ma c’è come un’insoddisfazione, almeno in me e i ragazzi. I castelli nel deserto sono in realtà dei caravanserraglio, fortificati o meno, affrescati o meno. Città romane, con anfiteatri, decumani e cardi, colonnati più o meno ben conservati, non ci danno ancora quelle emozioni che cerchiamo. Così come i mosaici e gli immensi panorami che si offrono dal Monte Nebo.
Solo percorrendo la Strada del Re, da Amman a Petra, si aprono ai nostri occhi scenari grandiosi, aspro prologo di un deserto che aspettiamo da giorni. La strada ripercorre quella antica, dove le carovane andavano da nord a sud trasportando i loro preziosi carichi, salendo oltre i mille metri e ridiscendendo in vallate solcate da wadi asciutti, o, raramente, con un rigagnolo, ma in questo caso, una fascia di verde corre parallela alla poca acqua.
Abbiamo anche un brivido, quando a causa della costruzione di una diga, la strada da asfaltata è diventata sterrata e il nostro autista risale la salita, fino a novecento metri, mettendo diverse volte le ruote del pulman sul ciglio della strada rigorosamente priva di protezioni.
Dopo Kerak e dopo una pianure coltivata, risaliamo sui mille metri e arriviamo a Petra, quella moderna, nata per accogliere i turisti. Prendiamo alloggio al Marriot; niente male, anche questo.
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Petra:

solo successivamente, rivedendo le foto ed i filmati, anche questi giorni ci riporteranno a momenti di bellezza e esperienze particolari, come aver visto gli artigiani di Madaba, dove ci sono i sarti che possono farti un vestito in giornata con vecchie macchine da cucire a pedale Singer.

Prendiamo accordi con la guida e dei suoi conoscenti e subito dopo cena ci fanno salire su due auto dove l’odore più tenue è quello di capra…, ma ne vale la pena. Scendiamo dove inizia il deserto e, mentre i tre giordani che ci accompagnano preparano il fuoco per il tè, a noi non rimane che essere avvolti dal nero della notte e dalla coperta di stelle sopra di noi. Il cielo però non è nero, ma di un blu profondo e la via lattea non l’ho mai vista così. Quasi non c’è spazio tra stelle e stelle. E poi la prima stella cadente, la prima di decine e decine. Prendiamo il té, mentre il fuoco si consuma ed è ancora più notte. E ci sono ancora più stelle… Ci dispiace tornare in albergo.

Ma non c’è tempo per ricordare la notte appena passata, ora siamo qui, dentro a questo budello scavato tra rocce alte anche più di cento metri. Il Siq. Peccato che per renderlo più accessibile e sicuro (se piove sulle montagne si può allagare improvvisamente) abbiano usato il cemento qua e là, non cercando per niente di mimetizzare le opere. Comunque, dopo aver percorso il primo tratto, fuori del Siq, a cavallo (se volete farlo, siate decisi, contrattate il prezzo subito e non lasciatevi prendere dalla ressa, vi vogliono tutti), ho aspettato gli altri e siamo entrati. E’ lungo: più o meno 800 metri. Siamo oltre metà mattina e il sole è alto. La luce scende dritta e a guardare il cielo, una sottile striscia delimitata dalle pareti della gola, l’azzurro ci abbaglia. Contrasta con il rosa e ocra delle rocce che in basso diventano scure per la penombra.


Osserviamo quanto i Nabatei prima e i Romani, poi, erano capaci con le opere irrigue, seguiamo un po’ distratti la voce della guida che ci indirizza a bassorilievi di dromedari nella roccia, ma in realtà siamo in aspettativa… Ad ogni curva, ogni volta che le pareti si stringono (in alcuni punti poco più di due metri), e poi si riallargano dietro una volta, rimaniamo in silenzio, è come un segnale, nessuno ne ha parlato, ma accade.

È un rosa che esplode e ci riempie gli occhi. Il Khaznat, il Tesoro. Emerge dalla penombra. In piena luce. È un’emozione che prende dentro ed è solo la prima. Ci prendiamo un po’ di tempo per le foto, per visitare, per scambiarci opinioni, poi proseguiamo ed abbiamo una sorpresa. Il Tesoro, monumento funebre alto 43 metri, è solo il primo mirabile esempio di arte nabatea, verso sinistra si apre un’ampia vallata.


È un susseguirsi di opere, monumenti, tombe, scavati nella roccia, con tonalità di rosa dal tenue all’acceso. Si respira il mistero di un popolo ancora oggi in parte sconosciuto. Saliamo antiche scale scolpite nell’arenaria, ripide e faticose, ma vale la pena di arrivare in stanze dove, forse, si svolgevano riti arcaici pieni di mistero. E dove, forse, esploratori tipo Indiana Jones, hanno rubato tesori fantastici.


Non mancano neppure momenti di rapporti umani e di socializzazione con un gestore di bar (sic!), dove beviamo un tè amaro, perché lo zucchero sta in certi contenitori che probabilmente non vedono acqua dai tempi dei Nabatei!
Percorriamo la vallata, con l’anfiteatro romano, il foro, con la strada lastricata e le colonne, riempiendoci gli occhi di opere bellissime e una natura selvaggia e aspra. E poi pausa. Meritata. Con pranzo in un ristorante discreto e cibo buono.


Ma non è ancora finita: subito dopo pranzo saliamo su per il sentiero a gradini (dicono 800) che porta al Monastero (Deir), un tempio rupestre alto 50 metri e poi, salendo ancora, in cima alla montagna. Il panorama è notevole: la vista spazia sul Wadi Araba fino alla valle del Giordano e, dicono, nei giorni senza foschia, fino ad Aqaba e al Sinai.
Ci sediamo sul bordo del dirupo che si apre davanti a noi e restiamo in contemplazione. Capisco come Petra fosse inespugnabile, protetta da queste montagne desertiche alle spalle e con il solo ingresso del Siq, facilmente difendibile. Solo la potenza Romana fu capace di piegarla. E capisco anche come sia stato difficile scoprirla.
Tornando indietro, io e Mau decidiamo di salire sopra il Monastero. Ci inerpichiamo per la parete di roccia, a volte incontriamo dei gradini, altre volte dobbiamo veramente arrampicarci, ma alla fine siamo sopra e ci sentiamo per un momento dei veri esploratori.

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L’unica strada per tornare indietro è quella già fatta. Non possiamo non notare come i colori ora, nel pomeriggio, siano cambiati. Il rosa è più caldo, sfuma nell’ocra, rende tutto ancora una volta da vedere, da immagazzinare nella mente. Ripercorriamo il Siq e dentro è quasi imbrunire, solo uscendone ci rendiamo conto che c’è ancora il sole.
Prima di arrivare all’albergo, ci dividiamo. I ragazzi vanno al bagno turco che gestiscono quelli del tè di ieri sera, noi rientriamo e successivamente ci pentiremo; ci raccontano di quasi due ore di bagni, massaggi e trattamenti per 12 dollari, se pensiamo che in Italia un’ora in "hammam" costa dai 40 euro in su…
Ci riuniamo per la cena e restiamo a parlare per un po’. Poi a nanna, domani sveglia presto.

Beida:

Piccola Petra… Ci arriviamo per una strada tra deserto e montagne e insieme al fascino di un luogo che sembra rimasto fermo nel tempo, ci viene regalata un’esperienza umana di una dolcezza struggente. Gli abitanti del vicino villaggio sono bedu autentici, veri beduini che hanno si perso il nomadismo, ma non hanno perso il senso dell’ospitalità e di quanto l’ospite sia benvenuto. Ci sono bancarelle, ma nessuno ti disturba, ci sono molti bambini, ma nessuno chiede.

Solo ti prendono per mano, è un gesto innocente e sarebbe grave scortesia rifiutare. Ogni bambino, maschi e femmine, immancabilmente scalzi, scelgono un visitatore e ti prendono per mano accompagnandoti per tutta la visita. Non vogliono niente, solo darti il benvenuto che si concretizza davanti al tempio meglio conservato, scavato nell’arenaria e bello come quelli di Petra. Ci mettiamo tutti in circolo, loro davanti a noi e iniziano un canto. Naturalmente non capiamo le parole, ma forse sono un’antica nenia che si tramandano. Poi ci fanno capire che dobbiamo cantare anche noi. Non sappiamo altro che intonare una canzone popolare, quel mazzolin di fiori… E quando finiamo, da dietro, si levano le note di un’antico strumento a corda, una specie di chitarra suonata con un archetto. E insieme al suono, la voce del vecchio capo villaggio. È un bene che Beida sia fuori dalle rotte del turismo più intenso… Nel tornare, la guida ci spiega che quei ragazzini sono scalzi non perché non abbiano scarpe, ma per una scelta di libertà. Già devono andare a scuola e non sono più nomadi, ma le scarpe proprio non le vogliono, le mettono solo a scuola.


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Wadi Rum:

fuori dal finestrino il paesaggio diventa sempre più aspro e la terra, la sabbia e le rocce sempre più rosse.
Scendiamo, ci sono costruzioni basse che funzionano da ristorante (sic!) chiamato pomposamente rest house e containers e baracche e tende che formano un villaggio. Un muretto delimita l’agglomerato e al di là, nella sabbia, gruppi di dromedari, alcuni sellati, altri no. Qualche femmina con il piccolo (come tutti i cuccioli, fantastici). Più in là la caserma del Desert Camel Corps. Sulla strada che termina il suo asfalto direttamente nelle sabbie del deserto, una fila di pick-up fuoristrada che ci fanno preoccupare se sono i nostri. Tre sono proprio quelli su cui dobbiamo salire. Gli autisti sono esclusivamente beduini, per legge le guide devono essere bedu.

Saliamo sui cassoni. Meglio stare in piedi, si prendono meno scosse e le coperte che sono sopra le panche laterali non invitano a sedersi. Però ci si abitua subito. I due massicci rocciosi, il Jebel Rum e il Jebel Umm’Ishrin, a destra e a sinistra, si alzano per quasi 800 metri e delimitano l’ingresso. Siamo a 900 metri sul livello del mare e il caldo è sopportabile, nonostante il sole implaccabile, soprattutto per la pochissima umidità. Il cielo azzurrissimo, contrasta con il rosso e l’orca della cima dei massicci. Gli autisti viaggiano spediti, ci divertiamo da matti, sembra di essere sull’ottovolante. Ci riempiamo gli occhi dei colori della sabbia e delle massicci rocciosi che aprono la valle e mi assale improvvisa nella mente la musica del film Lawrence d’Arabia e le immagini di Peter O’Toole che a cavallo del dromedario percorre lo stesso punto in cui siamo ora noi…
È la prima volta che vedo dal vivo un deserto. E questo è considerato uno dei più belli… Rimaniamo affascinati. Anche quando, scesi dai mezzi, ci addentriamo in un siq che fende un massiccio roccioso. Nella fenditura vediamo numerosi disegni rupestri e la roccia, rosso intenso, a picco del frontone, è come scolpita dal vento, sembrano bassorilievi, o meglio incisioni di una lingua fantastica.


Non mancano neppure un po’ di brividi: al ritorno il fuoristrada dove sono io, si guasta diverse volte. L’autista diventa anche meccanico e bene o male, ogni volta ripartiamo.


Che dire della duna di sabbia rossa che scaliamo e della mandria di dromedari che corrono lontano? Solo che è durato troppo poco, che mi rimane la voglia di traversarlo tutto, quel deserto, magari correndo la maratona che si svolge a novembre…

Nel 2003 c’è stata l’ultima maratona del Wadi Rum, in seguito è stata sospesa per motivi di sicurezza. Ma forse un giorno potrà essere di nuovo un grande evento sportivo.


Rientriamo in hotel e finalmente possiamo dire che gli ultimi tre giorni ci hanno mostrato la Giordania che cercavamo. Ma non è ancora finita…
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Mar Morto:

400 metri sotto il livello del mare. Il punto più basso del pianeta. Un grado di salinità che non consente nessun tipo di vita nelle acque. Un caldo torrido e un’elevata umidità. Avvertiamo la calura ancora di più, essendo stati per diversi giorni sempre sugli ottocento/mille metri di altitudine, con clima molto secco. Ma il Mar Morto è anche terme, alberghi, piscine, fanghi, cure, talassoterapia…
La nostra è una toccata e fuga, il tempo di fare un bagno. È fantastico. Si galleggia in modo pazzesco, si riesce tranquillamente a leggere mentre si sta sdraiati sulla schiena e il busto e gli arti stanno completamente fuori. Ci facciamo ricoprire di fango e quando lo stare in acqua comincia a dare fastidio (dopo una mezz’ora sentiamo un frizzore sulla pelle) ci dedichiamo alle piscine. Dopo tanta sabbia e rocce desertiche, tutta quell’acqua è un vero divertimento. Rientriamo ad Amman e facciamo in tempo ad assistere ad un matrimonio arabo. Abiti scollati e niente velo per molte donne, la Giordania è molto moderata, anche se poi, nei balli, donne e uomini separati nella più classica tradizione araba.

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Il ritorno:

stiamo volando verso l’Italia ed io ho ancora negli occhi quell’azzurro intenso del cielo sopre Petra ed il Wadi Rum. Forse tornerò ancora qui, in Giordania e farò un viaggio come dico io…, dedicando molto più tempo a questi due luoghi, dormendo almeno una notte nel deserto sotto una tenda beduina, facendo il viaggiatore e non il turista. È un consiglio che mi sento di dare a chi volesse arrivare sin qui, insieme a quello di recarsi a Beida, magari portando dei quaderni e delle penne biro che fanno “clic”, farete felici i bambini. Ed infine dedicate una giornata al Mar Morto, è un posto unico sulla Terra, 411 metri sotto il livello del mare. C’è solo qui od in Israele.

Franco (omar_li@libero.it)

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Letture consigliate:
"I sette pilastri della saggezza" di Thomas E. Lawrence

Siti web:
www.quigiordania.it
www.ambamman.esteri.it/Ambasciata_Amman ambasciata italiana ad Amman
www.wadirum.net
www.nbts.it/catalogo_cammellieri/giordania.htm

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giovedì 18 marzo 2010

SPAGNA: Pamplona, Fiesta di San Firmino

FIESTA
Una follia collettiva che non si può raccontare
(provare per credere)

Cronaca di 4 giorni a Pamplona per la Festa di San Firmino: by Franco (omar_li@libero.it)
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Avrei voluto mettere anche il titolo originale “The Sun Also Rises - Il sole sorge ancora”, ma forse sarei passato proprio per quello che non sono e cioè un iper megalomane.
Però l’idea di andare a Pamplona (Iruña in Basco) per vedere la festa di San Firmin mi era venuta proprio leggendo la grande opera di Hemingway. Lo scrittore che da tale fiesta era affascinato, tanto da recarvisi 9 volte. Solo che lui alloggiava nei 5 stelle e noi in camper.
Era qualcosa che volevo fare, ogni volta che nei primi giorni di luglio vedevo le scene alla televisione, con i tori, la folla e le notizie dei feriti più o meno gravi, mi assaliva la voglia di partire, di partecipare alla follia (poi verificata come tale) generale.

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- Occorre fare una premessa: se uno non cerca di capire, non entra nello spirito della fiesta, anzi nello spirito della tauromachia spagnola, se non ne avverte ciò che fonde la religione cattolica con i riti pagani e non percepisce l’animo dello spagnolo nei confronti di quello che per noi è spettacolo, ma per loro vita (si pensi che è l’unica cosa che unisce tutte le etnie in Spagna, dai Catalani ai Baschi, passando per gli Andalusi, ecc., gente che è molto diversa tra loro e che a volte si combatte anche ferocemente), o comunque un modo di essere e di pensare, ecco se uno non capisce questo, può sembrare qualcosa di truce. Gente che se la prende con dei poveri tori, seviziandoli e poi ammazzandoli in un’arena con sadica ferocia. Non è così. Intanto le arene sono piene come da noi gli stadi del calcio ed anche di più. E poi c’è tutto un rituale, regole precise e fondamenta storiche. Ecco, chi si avvicina ad una corrida, o come nel caso, alla Fiesta, se non lo fa con la voglia di capire questo evento dal punto di vista culturale, storico e come un qualcosa che fa parte della vita degli spagnoli, è meglio che non lo faccia. -
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E così decidiamo di partire, io Gino (l’amico che mi segue sempre nei viaggi) e all’ultimo si aggiunge anche Mau, mio figlio.
Proviamo a prenotare, ma è il 2 luglio ed è impossibile trovare un buco. La fiesta inizia sempre il 6 di luglio e termina dopo 9 giorni, il 14 di luglio.
Mi sono documentato alla meglio, usando solo internet e rileggendo passi del racconto di Hemingway. Inoltre l’aggregarsi di Mau complica le cose, ha iniziato da poco a lavorare e ha solo 4 giorni di ferie, quindi avremo solo 3 notti per stare a Pamplona. So solo che dobbiamo tassativamente essere là prima di mezzogiorno del 6, quando dal balcone del Municipio in Plaza de Ayuntamiento, spareranno il chupinazo, i tre mortaretti, che da il via ai festeggiamenti.
Decidiamo di affittare un camper, di comprare una cartina di Francia e penisola Iberica e di affrontare i 1300 e passa km. che separano Livorno da Pamplona.
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5 luglio 2003.
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Pochi bagagli, tanto cibo, compresi ragù e pesto per condire la pasta e alle ore 16 partiamo.
Ero già stato due volte in Spagna, la prima nel 1974, in viaggio di nozze, con una 127 Fiat che ci aveva portati fino a Gibilterra e ritorno. La seconda sette mesi prima di questo viaggio per passare l’ultimo dell’anno a Barcellona. Inoltre nel 1994 avevo portato Mau che aveva 14 anni, a Biarritz, nella Navarra francese, per fare serf. Conoscevo abbastanza bene la strada, almeno fino al bivio che invece di portare alla cittadina francese, scavalca i Pirenei ed entra nella Navarra spagnola.
Niente da dire le autostrade francesi sono più care delle nostre, ma la qualità è superiore. Buon asfalto, più larghe, piazzole di sosta attrezzate e pulite, distributori con i prezzi del carburante preannunciato diversi chilometri prima e con una vera concorrenza e dei panorami molto belli, anche se noi non abbiamo tempo di apprezzarli, almeno all’andata. Viaggeremo quasi sempre di notte e con la fretta di arrivare.

Passiamo Aix en Provence, Montpellier e il buio ci prende tra Narbonne e Carcassonne, dopo aver lasciato la A9 e aver preso la A61, abbiamo fatto circa 600 km. e siamo a metà del viaggio. Troviamo un po’ di difficoltà Tolosa, sbagliamo raccordo e dobbiamo fare un giro per tornare indietro per poter imboccare la A64 che ci porterà fino a Bayonne. Sono quasi 300 km. senza dover uscire dall’autostrada e così ne approfitto per lasciar guidare Gino e Mau e dormire un poco.
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6 luglio 2003.
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Mi risveglio poco prima di Bayonne, dove pieghiamo a sinistra per percorrere la A63 che porterà al confine con la Spagna e intanto comincia ad albeggiare. Lasciamo l’autostrada subito dopo il confine all’altezza di Hendaye e percorriamo verso sud la statale 121A che si insinua in una vallata pireneica, un posto veramente bello.
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Arriviamo a Pamplona poco dopo le 7 del mattino e troviamo che hanno già chiuso al traffico quasi tutte le vie. Chiediamo ad un gruppo di giovani volontari che controllano gli ingresi e visto che non conosciamo lo spagnolo (che qui è più basco che spagnolo) e neppure l’inglese, troviamo difficoltà a capire dove sia il campeggio per i camper. Lo troviamo egualmente, ma è a più di tre chilometri dal centro.

Così torniamo indietro e faccio il Livornese. Entro in centro dietro a gente del posto e parcheggio in un bel viale con davanti una fontanella (ce ne sono tantissime). Sembra periferia, ma fatti 50 metri, la strada si apre su dei giardini alberati grandissimi, traversati i quali, inizia la teoria delle bancarelle e dei ristoranti all’aperto che fanno da contorno alla fiesta. Data un’occhiata, rientriamo nel camper e facciamo colazione saccheggiando la dispensa.

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Sono le 11:00 quando traversiamo di nuovo i giardini. Ci fermiamo un attimo a comprare le sciarpe rosse, e via verso il municipio. E’ impossibile sbagliare, il flusso della folla va tutto in quella direzione.
Arriviamo con mezz’ora di anticipo. E’ stupefacente. Sono tutti (migliaia e migliaia) vestiti di bianco e con la sciarpa rossa al fianco, o al collo. Comunque i colori dominanti sono il bianco e il rosso. Due cose colpiscono la nostra attenzione; in tutti i negozi, anche quelli di ferramenta, vendono bottiglie di spumante tra 50 e 80 centesimi di euro. Ironizziamo sulla bontà del prodotto, non sapendo…
L’altra cosa è che tutto intorno gli abitanti dei palazzi stanno coprendo porte e finestre e balconi con teli di plastica trasparente… Bho? Non solo, cominciamo a notare anche gruppi di local che vestono con delle vestaglie tipo massaia che sfaccenda e hanno in testa una cuffia da doccia e in mano bottiglie di spumante (ma quelle ce le hanno tutti) e sacchi di non si sa bene che cosa.
Lo capiamo a mezzogiorno: il primo botto, il secondo, il terzo. E la piazza si trasforma in un torrente di spumante. Tutti che aprono la bottiglia, scuotono e si spruzzano a vicenda. Ecco perché costava poco, non era da bere, ma da schizzare. E’ un assaggio di follia collettiva. Noi abbiamo la telecamera e le macchine digitali, cerchiamo di salvarle ritirandoci e cercando riparo a ridosso dei
muri.
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Errore! Noi siamo stati fortunati, ma è rischiosissimo. E capiamo tutto. Allora: dai balconi e dalle finestre cominciano a tirare secchiate d’acqua e a rovesciare bottiglie di spumante. L’odore diventa penetrante, soprattutto per me che sono completamente astemio (una mosca bianca, visto quel che si preannuncia). I fagotti e pacchi che molti avevano, si rivelano contenere pacchetti di farina e dozzine di uova, e qualche pacco di cacao. E’ una baraonda. Spezzano i pacchetti e li tirano in aria, tirano le uova a quelli dei balconi e da lì giù acqua… E’ un crescendo di follia collettiva. E poi tutti in corteo, sembra che non ci sia un capo e una coda, ti trascinano, impossibile cercare di non seguire i flussi.
E poi arrivano le bande musicali; ogni quartiere ha la sua e tutti cantano. Noi non capiamo nulla, è basco, non spagnolo, ma ci lasciamo andare e urliamo anche noi “Protti goal, Protti goal”, tanto è tutto un casino e nessuno ci fa caso.
Verso le due del pomeriggio riusciamo a ritornare al camper. Decidiamo di lasciarlo dov’è e di rischiare ad accamparci lì. Ce ne sono altri, tutti con targa spagnola. Mangiamo e dopo la prima cosa che facciamo e di comprarci pantaloni e maglietta bianchi; totale 8 euro a testa, così anche se ci inzuppano non è un problema. Con la fascia rossa al fianco, sembriamo proprio dei local. Ormai siamo in tema.

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Ripercorriamo le strade del centro, dalla Basilica de San Ignacio all’arena e cerchiamo di organizzarci. Domani andremo a vedere il primo encierro, la corsa dei tori, aspettandone l’arrivo nell’arena, così ci mettiamo in coda per i biglietti.
Poi andiamo ad esplorare le strade dell’encierro, dall’arena al Ayuntamento, fino alla Calle de Santo Domingo, da dove partono i tori. Questa è in salita e la scartiamo, decidendo di affrontare solo il tratto che va dal Ayuntamento all’arena. E mentre intorno a noi ormai scorrono fiumi di birra e la fiesta è diventata follia collettiva, noi osserviamo le transenne che delimitano il percorso, notiamo che sono doppie, con un corridoio solo per i soccorsi, valutiamo le curve, il tipo di selciato e tutto quello che dobbiamo sapere.
L’encierro non è uno scherzo! Non si deve affrontare se non si è in perfetta forma, senza problemi di salute e senza un po’ di sana paura. Anche se i tori magari li vedi solo da lontano, già la folla è un pericolo. Dieci, dodicimila persone che corrono in strade strette, di sapore medievale, possono rappresentare un rischio. Da dietro non ci si rende conto cosa accade davanti e si continua a premere. Poi ci sono i tori…

- Da un opuscolo che consegnavano all’arena: “sono morte 13 persone negli encerrios di Pamplona, 8 dei quali negli ultimi 150 metri. Solo nel 1994 ci furono 408 feriti, 12 per incornata e gli altri per colpi e contusioni”. Segue tutta un’altra serie di statistiche… -
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Dunque, se si affronta l’encierro, o si è molto ubriachi, o si è molto attenti. E siccome noi non saremo ubriachi, cerchiamo di valutare tutto, perché il giorno 8, alle 7,30 saremo in strada e correremo anche noi.
Mangiamo paella e pollo e non è possibile descrivere l’atmosfera. E’ allegria contagiosa, è musica, è casino, ma non volgare o violento. È pieno di Inglesi e Americani. E spagnoli da tutto il paese, giapponesi, tedeschi, penso ci sia tutto il mondo.
Finiamo di cenare e andiamo nel parco della Cittadella a goderci i fuochi d’artificio. Ogni anno per l’occasione, si svolge il campionato europeo di fuochi artificiali. Migliaia di nasi all’insù per uno spettacolo veramente magnifico.
Ma quanta gente c’è? Il parco è pieno, eppure sono piene anche le strade, le piazze e i locali. Secondo le guide Pamplona fa 180.000 abitanti, ma arriva a 5 - 600.000 in questi nove gioni. Giriamo ancora un po’ e poi torniamo al camper. Nei giardini che dobbiamo traversare ne vediamo di tutti i colori, gente che balla, che dorme nei sacchi a pelo, che dorme sull’erba, e soprattutto gente che beve.
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7 luglio 2003.
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Ci svegliamo la mattina, riusciamo a fare una doccia e la colazione e siamo di nuovo in strada. Alle 7,30 siamo sugli spalti dell’arena ad aspettare che arrivino i tori.
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- L’encierro prende il via tra le 7,30 e le 8 del mattino. Parte dai recinti dei tori in Calle de Santo Domingo passando per Plaza Consistorial e, con una curva secca e molto spettacolare, entando in Calle de la Estafeta per arrivare nell’arena della Plaza de Toros. In tutto sono poco meno di 800 metri che i tori percorrono in un tempo medio attorno ai 3 minuti, quindi molto velocemente, molto più di quanto possa fare un uomo. -

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I primi “corridori” che entrano sono accolti con una bordata di fischi, modo per disapprovare il fatto che non hanno aspettato i tori e quindi non aver mostrato coraggio. Intanto l’arena si riempie e poi improvvisamente la folla si divide in due, si percepisce un attimo di panico ed un boato si leva dagli spettatori: prima alcuni di colore marrone, poi neri come e bellissimi, entrano correndo i tori. Rallentano, sbandano vedendo il movimento dei corridori, ma è un attimo, i pastori armati di lunghe verghe, li costringono a traversare tutta l’arena nel suo diametro e a entrare nei recinti dalla parte opposta da dove sono entrati chiudendo rapidi i cancelli.
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- Assieme ai sei tori, gli stessi che faranno la corrida nel pomeriggio, vengono messi dei manzi, chiamati “cabestrones”, sono una decina e servono a calmare i tori. Hanno un campanaccio al collo e praticamente si fanno seguire dal toro. Tutta la piccola mandria è guidata da dei pastori, o mandriani, che impugnano una lunga verga vegetale e con quella guidano i cabestrones e di conseguenza i tori. -

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In un attimo tutti i corridori dell’encierro si ammassano davanti al cancello che si è chiuso alle spalle dei tori. C’è un attimo di silenzio e poi si leva di nuovo un boato dalla folla. I corridori indietreggiano, si fendono, scappano e si riportano avanti. Hanno aperto il cancello e fatto entrare un toro. Inizia una specie di corrida per principianti, dove il toro (gli hanno messo delle protezioni sulle corna in modo che non possa infilzare) carica tutti.
E’ incredibile come un bestione che pesa dai 5 ai 600 chili, possa avere una simile agilità. Carica, si ferma sulle quattro zampe, si volta su se stesso e ricarica in una frazione di secondo, ruota di 360 gradi e salta come una gazzella, con cambi di direzione che un uomo (a parte un matador) non può prevedere. Il secondo toro ci regala uno
spettacolo incredibile: appena entrato, invece di caricare quelli dentro l’arena, ha piegato sulla sinistra e con un salto ha superato la staccionata che delimita l’arena e dietro la quale ci si ripara, entrando nel corridoio tra gli spalti e la staccionata stessa. C’un panico generale, tutti saltano alla rovescia quel metro e sessanta di tavole di legno. Il toro fa il vuoto per metà del corridoio, poi decide di risaltare e di rimettere gli zoccoli sulla morbida rena.
Per sei volte entrano un toro e dopo due minuti un cabestrones per
riportarlo nei recinti. Tre minuti in tutto per ogni toro. Valutiamo e memorizziamo tutto, siamo già pieni di adrenalina: domani tocca a noi. Non faremo certo come ì più audaci, o i più ubriachi, che vanno a cercare il toro, che lo vogliono toccare o addirittura fermare, ma saremo lì dentro, a cercare di evitare le cariche.
Usciamo dall’arena veramente carichi e di nuovo siamo tra la folla, una marea che beve balla e canta. Ne vediamo di tutti i colori. Ma veramente, non si può raccontare tutto, bisogna esserci.

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Verso le 7 del pomeriggio andiamo all’arena ad aspettare l’uscita di quelli che hanno assistito alla prima corrida ed è un altro spettacolo. Escono con bandiere, striscioni, la banda musicale in testa, facendo festa, ballando, trascinando chiunque ci sia. Ci sono donne e bambini, famiglie intere. Moltissimi indossano una vestaglietta e la solita cuffia da doccia e molti hanno catini e tinozze di plastica vuote. Cantano e gioiscono, probabilmente è una forma di tifo, capiamo che sono contenti perché i loro matador hanno toreato bene. Capiamo che ogni corrida è gestita da un quartiere della città, che c’è una sfida tra contrade e che alla fine ci sarà chi vincerà.
Dopo cena torniamo a vedere i fuochi e poi a nanna, domani sarà un gran giorno…!

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8 luglio 2003.
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Ci svegliamo presto, e con calma ci dirigiamo alla famosa curva che raccorda Plaza Consistorial con Calle de la Estafeta da dove inizieremo a correre. Per strada c’è già gente che beve birra; compriamo
dei quotidiani locali. Sul Diario di Navarra, in prima pagina una foto da brivido: un tizio con il corno di un toro infilato nella camicia. Ma non ci sono stati che due feriti per contusioni, quindi un encierro molto buono. Arrotoliamo i giornali (lo fanno tutti) e ci prepariamo a correre.

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Scegliamo il lato della strada e scherzando cerchiamo di mascherare la tensione. L’adrenalina è veramente a mille, specie man mano che la folla aumenta e preme e non ti consente di stare dove avevi deciso. In pochi minuti si è pigiati come sardine. Cerchiamo di stare insieme, di portarci un poco più avanti, di andare tra i primi del settore.
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- La massa dei corridori viene divisa in settori, lasciando uno spazio vuoto tra settore e settore con un servizio d’ordine molto severo. Ti fanno partire solo quando il settore più a monte ti raggiunge, e così via. -

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Poi non c’è più tempo di pensare: il brusio tace un attimo e poi sale come un grido. Si comincia a correre. Un po’ vorremmo vederli i tori, ma la paura è tanta, impossibile non aver paura. Arriviamo nell’arena senza vederli, ma sentiamo che sono lì dietro. Facciamo appena in tempo a metterci da un lato ed ecco che entrano. Alcuni tori hanno superato i cabestrones e questo è pericoloso. Infatti il giorno dopo apprenderemo che ci sono stati quattro feriti gravi, di cui uno gravissimo, incornato nel tunnel d’ingresso dell’arena e uno a cento metri dall’ingresso.
Sono veramente grossi, visti da vicino, i tori. Restiamo nel cerchio dell’arena a scappare di qui e di là per evitare le cariche. Abbiamo seguito le regole dell’opuscolo e non abbiamo portato macchine fotografiche, ma è un peccato, avremmo fatto delle foto fantastiche. Io non aspetto tutti i sei tori, dopo il quarto mi ritiro dietro la staccionata. Sono veramente stanco e questo non è buono, i limiti vanno riconosciuti, d’altronde ho la mia età.
Finito l’encierro usciamo dall’arena. Siamo elettrizzati, l’adrenalina non accenna a scemare:
non è da tutti esserci stati e noi possiamo dirlo.

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Comunque ci mettiamo in fila, dove c’è già tantissima gente, per i biglietti della corrida del pomeriggio. Notiamo che ci sono famiglie intere, capiamo dopo il perché: sono bagarini che cercheranno di vendere i biglietti con prezzi esorbitanti, perché i biglietti vengono venduti solo per il giorno stesso e molti preferiscono pagare piuttosto che fare la fila.
Di fronte al botteghino della Plaza de Toros la fila è veramente pazzesca. Decidiamo di fare i turni perché apriranno solo a mezzogiorno, più ci sono quelli che abbiamo davanti. Nel mio turno, riesco a parlare con una coppia di giovani canadesi di Vancouver. Loro conoscono sei parole di italiano, io sei di inglese e fra tutti sei parole di spagnolo. Eppure riusciamo a comunicare. Racconto il nostro encierro e loro mi dicono che lo faranno l’indomani. Poi faccio amicizia con una ragazza di Hong Kong, e qui sono fortunato perché lei di parole italiane ne conosce parecchie, è stata a Firenze e a Roma. Insomma il tempo mi vola, mi ritrovo davanti al venditore di biglietti che quasi mi dispiace.

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- Una nota per l’acquisto dei biglietti. Nell’arena non ci sono posti di curva, gradinata e simile. Si paga in funzione se i posti sono al sole, al sole y ombra, o all’ombra. Tenete di conto che al sole è come la nostra curva, tipo Fiesole per Firenze. Tifosi esagitati che vanno dentro con catini, si proprio catini, di sangria e pacchi farina. Gente tosta che è intenditrice, che esalta o insulta il torero, ma che noi decidiamo di evitare. -
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Prendiamo posti all’ombra, e dopo tre ore di fila, ce ne andiamo a mangiare e poi di nuovo in giro. Ne vediamo di tutti i colori: gente che dorme nelle posizioni più strane. Uno si è addormentato a torso nudo su una lamiera pagliolata che serve ai fork-lift per entrare nei containers, possibile che non senta dolore? Ci sono montagne di bicchieri di plastica. E posso assicurare che ogni due ore spazzano e puliscono tutto.
Andiamo a mangiare e alle 5 de las tardas (in realtà sono le 18) siamo sugli spalti dell’arena per assistere alla corrida dove saranno protagonisti i 6 tori dell’encierro della mattina, quello dove abbiamo corso noi.

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Gareggia la contrada CEBADA GAGO con i tori:
Hormigòn” kg. 490: torero Pepìn Liria
Fuggitivo” kg. 505:

Picador” kg. 500: torero Juan Josè Padilla
Castillero” kg. 595:

Jugue-plaza” kg. 500: torero Francisco Marco
Clavelito” kg. 520:

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- …Romero continuò. Fu come una lezione di tauromachia. Tutti i passaggi erano collegati, tutti portati a compimento, tutti lenti, sobri, armoniosi. Niente trucchi e niente mistificazioni. E neanche gesti bruschi. Ogni passaggio, quando arrivava al culmine, ti dava una fitta improvvisa. La folla avrebbe voluto che non terminasse mai.(…) Si mise di profilo esattamente di fronte al toro, estrasse la spada dalle pieghe della muleta e prese la mira lungo la lama (…) Il toro caricò e Romero attese la carica (…) Poi, senza avanzare di un passo, divenne una cosa sola col toro e la spada era in alto tra le spalle… -

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Sono parole tratte da Fiesta di Hemingway, che senza dubbio descrivono meglio di quanto potrei fare io la corrida. Non c’è il torero Romero, all’epoca il migliore di Spagna, ma ci lasciamo coinvolgere e lo spettacolo dei picadores sui cavalli, dei banderilleros che corrono verso i tori e delle cappe che roteano e delle mulete ci avvolge e ci affascina per un’ora e mezza.

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Al termine usciamo dietro alla banda e ai supporter del rione, ma non hanno troppa voglia di far festa: il giorno prima hanno arrestato un attivista basco e c’è aria di protesta. Comunque oggi è veramente stato un gran giorno…
A cena reincontro l’amica di Hong Kong e sembra che ci conosciamo da sempre, poi ancora i fuochi e poi in giro. Stanotte dormiremo poco, abbiamo deciso che domattina andremo a vedere l’encierro all’inizio, in calle Santo Domingo e per essere in prima fila, alle 6 di mattina dovremo essere già lì.







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9 luglio 2003.
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In realtà i nostri programmi iniziali prevedevano che avremmo corso, ma ad amor del vero, le foto sul giornale che riporta i fatti del giorno prima, ci mettono più ansia di quella che già avevamo e decidiamo di non correre. Chi dice che non ha paura, ripeto, o è molto ubriaco, o lo è moltissimo. La paura ci deve essere e anche il buon senso.
Mentre aspettiamo vediamo una scena che ricorderemo negli anni: una ragazza francese, stesa bocconi su di un tavolo che rimette anche l’anima e appena finito si “sciacqua” la bocca con un bel mezzolitro di birra. Incredibile come devono forte. Poi c’è un piccolo spiacevole episodio con tre spagnoli ubriachi che provocano prima delle ragazze e poi me, litigo con uno di loro, ma gli altri lo portano via.
Alle 7 la folla riunita in strada invoca il santo ed è uno spettacolo. La preghiera urlata da un migliaio di persone che leva in alto le mani e i giornali arrotolati (dovrebbero servire ad allontanare i tori), con i bianco e il rosso dei vestiti e delle sciarpe che colorano la strada. E poi il mortaretto e l’inizio della corsa, mentre i cabestrones appaiono dalla curva e dietro i tori. In quel momento ci assale forte il rimpianto di non aver corso e ci ripromettiamo che se torneremo, è da lì che faremo il nostro secondo encierro.
Scendiamo in strada e incontriamo i due canadesi. Ha corso solo lei, ed il ragazzo mi dice che lui non è “loco” , no crazy, ha solo fatto le foto. Lei è minuta e ansimante, ma sicuramente si sente alta 2 metri, la possiamo capire.
Continuiamo ad andare in giro, compro la teglia per fare la paella che mia moglie ha chiesto e ci riempiamo gli occhi di tutto quello che possiamo. Dopo pranzo partiremo e lasceremo un pezzo di noi tra queste strade.
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Un vero peccato non poter rimanere di più. Così alle 15 ci rimettiamo in viaggio. Faremo una sola sosta, in un’area di parcheggio grandissima su una collina da dove si ammira il panorama di Carcassonne che sembra rimasta una città medievale, con torri e mura conservate benissimo che ricordano la Camelot di re Artù. Ad avere tempo sarebbe da visitare, visto che è dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità. Arriveremo a Livorno la mattina del 10, dopo aver lasciato Mau direttamente al lavoro, concludendo, almeno per lui, da pazzi un viaggio da pazzi. Tutto di furia, senza respiro, ma con immagini e suoni e odori e sentimenti che ci porteremo dietro per sempre.
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FINE.



Web:

www.pamplona.net ufficiale di Pamplona
www.sanfermin.com ufficiale della fiesta

Letture:
"49 racconti"; "Fiesta – Il sole sorge ancora", entrambi di Hemingway

Contatti:
omar_li@libero.it

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